Problemi di udito: cause, sintomi e cosa fare

Quando si parla di problemi di udito si fa riferimento soprattutto all’ipoacusia, una condizione che si manifesta con un abbassamento dell’udito. Più semplicemente: quando si sente “meno” o non si riesce a sentire bene. Trattandosi di una situazione che può palesarsi in diversi modi e avere diverse cause, richiede un approccio multidisciplinare, ossia l’intervento di diverse figure medico-sanitarie che possano contribuire nella formulazione di una diagnosi precisa. E, di conseguenza, nell’indirizzare il paziente verso un percorso riabilitativo personalizzato, laddove possibile e/o necessario. I problemi di udito, infatti, possono essere: transitori o permanenti; curabili o irreversibili; “colpire” un orecchio o entrambe; coinvolgere esclusivamente il sistema uditivo o essere la conseguenza di altre patologie; presentare una gravità più o meno severa. Come si può facilmente intuire, il quadro clinico dietro un problema di udito può essere davvero ampio e sfuggente, ecco perché richiede un approccio integrato, in grado di indagare a fondo sulla natura del deficit. Analisi strumentali che partono inevitabilmente dal rilevamento della causa. Cause principali dei problemi di udito Ci sono diversi motivi per cui una persona può riscontrare un calo uditivo. Un raffreddore, un tappo di cerume oppure un’infezione (otite), per esempio, possono ostruire il canale uditivo ed impedire una corretta trasmissione del suono. In questi casi, l’udito tende a ripristinarsi dopo la guarigione. O, nel caso del tappo, in seguito ad una procedura di rimozione da parte di personale specializzato (dottore otorinolaringoiatra). Altre circostanze possono essere approcciate tramite intervento chirurgico, ma nella maggior parte dei casi, dal punto di vista statistico, un problema di udito è dovuto all’età e all’esposizione ai rumori. Per entrambe le eventualità, la perdita uditiva è irreversibile e non curabile, ma gestibile attraverso l’adozione di appositi apparecchi acustici. Con il passare degli anni, infatti, anche le parti del nostro organismo coinvolte nel processo d’ascolto tendono a logorarsi. Per esposizione ai rumori, invece, oltre al trauma acustico provocato dall’ascolto ravvicinato di un’esplosione o qualcosa di simile, s’intende soprattutto l’esposizione prolungata ai rumori intensi. È il caso, per esempio, di chi lavora o ha lavorato per tanti anni in ambienti di lavoro rumorosi come fabbriche o cantieri, ma anche di chi ha la tendenza o ha avuto l’abitudine in passato di ascoltare la musica ad un volume eccessivo per tanto tempo. Come si manifesta un problema di udito? Accorgersi di avere un problema di udito non è sempre scontato come può sembrare, anche perché spesso il calo uditivo avviene gradualmente. Ci sono, però, alcuni indizi da non trascurare: la difficoltà sempre più accentuata nel seguire le conversazioni, sia dal vivo (soprattutto all’aperto) che al telefono, oppure la tendenza ad alzare il volume della TV in maniera spropositata senza accorgersene sono senz’altro segnali di un possibile problema di udito. A questi segnali possono accompagnarsi altri sintomi come la comparsa di acufene, ovvero la percezione di un fischio all’orecchio senza che qualcosa di esterno lo emetta, capogiri più frequenti o vertigini, poiché udito e senso di equilibrio sono strettamente correlati. A chi rivolgersi in caso di problemi di udito? Spesso accade che il primo passaggio avvenga con il medico di base: si tratta di un approccio corretto, ma le figure medico-sanitarie specializzate nella cura dell’udito sono diverse. Da un punto di vista prettamente clinico, si tratta del dottore otorinolaringoiatra e dell’audiologo. Entrambi laureati in medicina, il primo è specializzato in Otorinolaringoiatria e affronta la tematica dell’udito a 360°, prendendo in considerazione anche la salute di orecchio, naso e gola, mentre il secondo, specializzato in Audiologia e Foniatria, pone il focus sull’apparato uditivo. Una volta riscontrata l’ipoacusia, due figure professionali molto importanti per la diagnosi ed il trattamento uditivo sono l’audiometrista e l’audioprotesista. L’audiometrista, laureato in Tecniche Audiometriche, è un professionista abilitato ad eseguire valutazioni dell’udito di tipo non invasivo, quindi tramite esami audiometrici. L’audioprotesista, invece, è il tecnico-sanitario – laureato in Tecniche Audioprotesiche e abilitato all’Albo dei Tecnici Audioprotesisti – incaricato di applicare gli apparecchi acustici al paziente e di tararli sulla base delle sue specifiche esigenze. Ti aspettiamo in sede per un esame audiometrico gratuito: prenota il tuo appuntamento!
Come scegliere l’apparecchio acustico giusto?

Il mercato degli apparecchi acustici propone una vasta offerta di modelli e brand differenti: orientarsi non è semplice, soprattutto per chi si appresta ad indossarli per la prima volta. Con questo approfondimento intendiamo fare chiarezza sulle possibili opzioni a tua disposizione, così da offrirti una panoramica sugli apparecchi acustici che ti possa consentire di scegliere con maggiore consapevolezza il dispositivo più indicato per soddisfare le tue esigenze. E soprattutto di darti la possibilità di avere un confronto attivo con il tuo audioprotesista sulla scelta finale. Cosa contengono gli apparecchi acustici Prima di addentrarsi nelle specificità dei vari modelli, la prima cosa da sapere è che tutti gli apparecchi acustici contengono le medesime componenti: microfoni, microprocessori, ricevitori, amplificatori e batteria. Ciascun modello può avere il ricevitore posizionato diversamente, presentare una tecnologia più o meno evoluta, avere un microfono aggiuntivo o prevedere una batteria ricaricabile o “tradizionale”. Tutte queste componenti sono presenti in ciascun modello di apparecchio acustico. L’esperienza d’ascolto, infatti, è pressoché identica per tutti i modelli di apparecchi acustici: i microfoni raccolgono i suoni provenienti dall’ambiente esterno, l’amplificatore li indirizza al microprocessore che li converte in codice digitale modellando il suono in base allo specifico deficit uditivo della persona, grazie alla programmazione di un tecnico audioprotesista. Successivamente, il segnale viene convertito in onde sonore e trasmesso alle orecchie. Tutto questo avviene in “presa diretta”, così da non alterare i normali tempi d’ascolto dell’utilizzatore. Le principali tipologie di apparecchi acustici Il fatto che presentino le medesime componenti non significa che tutti gli apparecchi acustici offrano le stesse prestazioni. La differenza di tecnologia, infatti, può determinare una qualità del suono più o meno superiore, così come una particolare disposizione del ricevitore può essere più o meno pertinente per compensare una condizione uditiva grave piuttosto che una perdita di entità lieve o moderata. A questo si aggiungono caratteristiche come la batteria ricaricabile, la possibilità di connettersi tramite Bluetooth a smartphone e TV, l’opzione della regolazione a distanza, funzionalità aggiuntive come la riduzione del rumore e altre peculiarità che determinano la differenza di prezzo tra i vari modelli. In linea generale, gli apparecchi acustici si distinguono soprattutto in: apparecchi acustici retroauricolari: sono apparecchi acustici che prevedono una sorta di “guscio” fatto in plastica da indossare dietro l’orecchio ed un tubicino la cui estremità va posizionata all’interno dell’orecchio, come fosse una cuffia; apparecchi acustici endoauricolari: si caratterizzano per la dimensione miniaturizzata. A differenza degli apparecchi acustici retroauricolari, tutte le componenti sono racchiuse in un piccolo scrigno da inserire interamente nell’orecchio. Il guscio, in questo caso, viene modellato sulla base dell’impronta dell’orecchio dell’utilizzatore, in modo tale da risultare aderente e confortevole. Ecco, in sintesi, i principali vantaggi di ciascuna delle due tipologie. Perché scegliere gli apparecchi acustici retroauricolari? Innanzitutto, i modelli retroauricolari sono più facili da maneggiare: questo probabilmente li rende particolarmente adatti a chi preferisce una maggiore libertà di manovra e alle persone anziane, anche perché sono facili da indossare e da usare. A questo si aggiunge il fatto che la maggior parte degli apparecchi acustici ricaricabili sono retroauricolari. In breve: praticità, il fatto di poterci fare sempre affidamento poiché la custodia è tascabile e ricaricabile tramite alimentazione USB e la possibilità di sentire la TV o il telefono direttamente dai dispositivi sono i principali vantaggi di questa scelta. Perché scegliere gli apparecchi acustici endoauricolari? Il principale vantaggio dei modelli endoauricolari è relativo all’estetica: questi dispositivi sono così piccoli che, una volta indossati, sono difficilmente notabili da occhi esterni. Per questo motivo, il mini apparecchio acustico rappresenta una scelta ottimale soprattutto per chi ricerca discrezione e riservatezza sul proprio deficit uditivo. Un suono personalizzato in entrambi i casi Che siano retroauricolari o endoauricolari, gli apparecchi acustici necessitano di un apposito settaggio da parte di un tecnico audioprotesista che li programmi in base alle specifiche carenze uditive dell’utilizzatore. Il primo step, infatti, è quello degli esami audiometrici: un test finalizzato a valutare lo stato di salute dell’udito che ha l’obiettivo di individuare con precisione per quali frequenze e tonalità si ha difficoltà a sentire. Ma soprattutto utile a determinare la soglia uditiva, ovvero la raffinatezza uditiva. In altre parole, il minimo che si riesce a sentire in una stanza silenziosa in termini di decibel. Gli apparecchi acustici sono il primo passo per una riabilitazione ottimale Adesso che hai una panoramica più chiara sulle possibilità a tua disposizione, c’è un altro aspetto che devi tenere in considerazione: sebbene rappresentino un passo determinante per riconquistare una buona capacità uditiva, l’acquisto degli apparecchi acustici è il primo step di un percorso di riabilitazione acustica nel tempo che possa consentirti di godere appieno delle potenzialità dei tuoi nuovi dispositivi. E di farti vivere una quotidianità più appagante e ricca di suoni. Ad ogni modo, quando effettuerai la scelta ricorda che i migliori apparecchi acustici sul mercato sono quelli che possono ritenersi più giusti per te. Ti invitiamo a scoprire l’innovativo metodo Armonia: un percorso di riabilitazione acustica progettato su misura per le tue necessità!
PELLE E CERVELLO: UNA NUOVA STRADA PER CURARE LA SCLEROSI MULTIPLA

Articolo a cura della dott.essa Alessia Marcocci Una soluzione terapeutica delle malattie demielinizzanti come la sclerosi multipla arriva proprio dalla nostra pelle: cellule staminali cutanee sono in grado di produrre la guaina che riveste le fibre nervose. Lo hanno dimostrato alcuni ricercatori di Baltimora, guidati da Dott. Hornyak, dell’Università del Maryland.La sclerosi multipla è una malattia in cui si riducono progressivamente le cellule che compongono il rivestimento delle fibre nervose, detto (guaina mielinica). La ricerca ai fini terapeutici si sta sempre più orientando verso l’uso di cellule staminali di vario genere, capaci di replicarsi senza limiti e differenziarsi per sostituire il tessuto mancante . Recentemente nel bulbo pilifero di topo è stata (identificata) https://journals.plos.org/plosgenetics/article?id=10.1371/journal.pgen.1008034 una categoria di staminali (CD34+) in grado di rigenerare la guaina mielinica. Queste cellule si ritrovano anche nell’uomo e fanno immaginare nuove strategie di cura, che permettano di riparare la mielina partendo dall’epidermide. LE CELLULE DEL BULBO PILIFERO: UN ESPERIMENTO SUI TOPI RIPRODUCIBILE NELL’UOMO Nel bulbo pilifero cutaneo dei topi, ma anche in quello umano, esistono cellule staminali deputate a trasformarsi in melanociti che poi produrranno il pelo. Come Hornyak e i suoi collaboratori ribadiscono, questa trasformazione avviene ciclicamente: quando un pelo cade, alla base del bulbo sono presenti cellule ancora non differenziate che si stanno già attivando per diventare melanociti e produrne uno nuovo. Gli studiosi hanno identificato un’area alla base del bulbo pilifero, in cui le staminali presentano sulla parete la proteina detta CD34 e sono molto simili a quelle della cresta neurale, una porzione del tessuto embrionale detto ectoderma. Secondo la ricerca le CD34+ sono potenzialmente capaci di ricreare il rivestimento mielinico neuronale. Infatti gli scienziati statunitensi hanno prelevato dalla spina dorsale di topi malati per deficit di guaina mielinica, alcuni gruppi di neuroni detti gangli: una volta isolati, sono stati trattati in laboratorio proprio con cellule staminali melanocitiche CD34+. E’ stato sorprendente osservare come i tessuti nervosi esaminati ricominciassero a produrre la proteina Mbp tipica della mielina, indice di riparazione in corso. Visti questi risultati, Hornyak e i suoi colleghi hanno allora ripetuto l’esperimento in vivo, iniettando nell’umor vitreo dell’occhio degli animali le cellule CD34+ e nuovamente hanno osservato localmente un aumento di Mbp. IL SISTEMA NERVOSO E LA CUTE: UN’ORIGINE COMUNE CHE APRE NUOVI ORIZZONTI Oltre alla scoperta di cellule epidermiche capaci di trasformarsi in mielina, l’elemento interessante di questo studio arriva da molto lontano: sappiamo che la cute e il sistema nervoso derivano dal medesimo foglietto embrionale, l’ectoderma, ovvero uno dei 3 strati che costituiscono la prima differenziazione dell’embrione. Esiste perciò una connessione biologica tra i due sistemi fin dall’origine del corpo umano. Alla luce dello studio statunitense, gli autori ipotizzano che la genesi comune dei due sistemi possa indicare una nuovo progetto terapeutico nell’ambito delle malattie neurodegenerative, grazie alla presenza sulla pelle di cellule pluripotenti che possono ricostituire parte del tessuto nervoso danneggiato. “Intanto”, affermano gli stessi ricercatori di Baltimora, “proseguiremo l’indagine per comprendere se la differenziazione in guaina mielinica corrisponde anche ad un recupero funzionale della fibra nervosa danneggiata”. Si traccia pertanto una nuova via di ricerca per le malattie neurodegenerative demielinizzanti come la sclerosi multipla, anche se la strada per arrivare all’uomo sarà sicuramente molto lunga. “Articolo prodotto nell’ambito del Master in Giornalismo e comunicazione istituzionale della scienza dell’Università di Ferrara”
I NUOVI ANTICOAGULANTI ORALI (NAO): PREGI E DIFETTI

Articolo a cura della dott.essa Alessia Marcocci Da diversi anni sono disponibili nuovi farmaci anticoagulanti orali, che in alcune malattie riescono a sostituire i vecchi medicinali. A differenza di questi ultimi, i nuovi prodotti provocano minor rischio emorragico, come effetto avverso, e possono evitare al paziente il noioso controllo ematico settimanale del tempo di Quick o dell’INR. Lo svantaggio principale è invece che interagiscono con diversi altri tipi di farmaci: per questo la loro efficacia non è sempre garantita e sono spesso in agguato molti fastidiosi effetti collaterali. GLI ANTICOAGULANTI ORALI: COSA SONO? Gli anticoagulanti orali, in generale, sono compresse che rallentano la coagulazione del sangue: servono in tutte le malattie in cui ci si voglia prevenire la formazione di trombi, cioè coaguli che si possono formare dentro i vasi sanguigni e ostacolare così la circolazione ematica. Dilatando i tempi di coagulazione, facilitano anche le emorragie in caso di ferite o incidenti , quindi richiedono particolari attenzioni da parte delle persone che li assumono. Le principali indicazioni terapeutiche per gli anticoagulanti orali sono la trombosi venosa profonda, la fibrillazione atriale, pregressi episodi di ictus cerebrale, immobilizzazione prolungata, casi di sostituzioni valvolari cardiache o comunque in tutte quelle condizioni in cui è presente un rischio trombotico. I NUOVI ANTICOAGULANTI ORALI (NAO) I nuovi anticoagulanti orali, disponibili da alcuni anni, sono prevalentemente mirati alla cura della fibrillazione atriale: tipica dell’età avanzata, è un’alterazione del ritmo cardiaco che si manifesta con un battito accelerato e irregolare, conseguente ristagno di sangue nel cuore e alta probabilità di dare origine ai famosi trombi. Ultimamente è stato approvato l’utilizzo dei NAO anche come prevenzione per la trombosi venosa profonda e per l’embolia polmonare. Tali farmaci sono rappresentati da 4 principi attivi: RIVAROXABAN, APIXABAN, DABIGATRAN e EDOXABAN. Questi prodotti, agendo in modo specifico su un solo fattore della coagulazione (il fattore X oppure la trombina), difficilmente causano un eccessivo sanguinamento in caso di traumi o lesioni accidentali. Proprio per quest’azione selettiva su un solo elemento della coagulazione, il paziente non deve misurare ogni 4-5 giorni il tempo di Quick o l’INR come succede per la terapia con il Coumadin e questo facilita l’autonomia di assunzione. D’altro canto però la loro efficacia può essere influenzata dalla contemporanea assunzione di altre medicine: questo fenomeno viene chiamato interazione tra farmaci. Da cosa dipende questa interazione? L’ASSORBIMENTO INTESTINALE DEI NUOVI ANTICOAGULANTI ORALI L’interazione con altri farmaci è dovuta ai meccanismi di assorbimento intestinale di queste sostanze. In particolare, il trasporto dei nuovi anticoagulanti orali attraverso la parete intestinale è mediato dalla glicoproteina P e dal citocromo P450, elementi che solitamente si alterano in caso di assunzione di altri farmaci, come per esempio alcuni antibiotici, antifungini o antiretrovirali. Per questo motivo, la contemporanea somministrazione dei NAO con altre medicine può alterare o inibire l’effetto anticoagulante o peggio ancora, provocare effetti collaterali inattesi. Va sottolineato comunque che ogni NAO ha interazioni differenti e questo dipende specificatamente dal livello intestinale dove viene maggiormente assorbito. In conclusione, l’uso dei NAO è certamente più facile e comodo per il paziente, ma devono esserci indicazioni terapeutiche precise e soprattutto bisogna stare attenti ad eventuali contemporanee cure con altri medicinali: in tal caso sarà il medico che modificherà le terapie in base alle necessità del malato. “Articolo prodotto nell’ambito del Master in Giornalismo e comunicazione istituzionale della scienza dell’Università di Ferrara”
NEGLI ANZIANI AUMENTA L’INCIDENZA DELLA FIBRILLAZIONE ATRIALE

Articolo a cura della dott.essa Alessia Marcocci Cos’è la fibrillazione atriale? Molti anziani ne sono affetti, proviamo a spiegarla. Intanto è una malattia cardiaca, frequente proprio nella terza età ed è una tra le principali cause di ictus cerebrale. Un recente comunicato stampa del CNR https://www.cnr.it/it/comunicato-stampa/8825/fai-fibrillazione-atriale-in-italia-la-prevenzione-come-sfida stima che ne soffre l’8,1% degli over 65 e i dati andranno ad aumentare con il tempo, visto l’incremento percentuale della popolazione anziana. Di cosa si tratta? E’ definita un’ARITMIA, cioè un’alterazione del ritmo cardiaco, il quale perde la sua regolarità, diventa caotico ed in alcuni casi può diventare troppo veloce o troppo lento. Quest’irregolarità del battito è causata da un’accelerazione degli impulsi elettrici che generano la contrazione cardiaca: l’eccessiva quantità di stimoli produce contrazioni cardiache inefficaci , casuali ed incomplete e quindi impedisce al cuore di svuotarsi completamente. Il conseguente ristagno di sangue può produrre trombi (coaguli) che poi saranno spinti dalla circolazione verso il cervello; da qui eventuali episodi di ischemia cerebrale o addirittura ictus. Quali sono le cause? Non esistono cause scatenanti dirette, ci sono invece diversi fattori che possono contribuire all’insorgenza di questa malattia, tra cui ipertensione, obesità, diabete, ipertiroidismo o semplicemente soltanto l’età avanzata. Inoltre anche la presenza di altre patologie cardiache può facilitarne la comparsa: insufficienza cardiaca, valvulopatia e cardiopatia coronarica sono tutte condizioni favorenti la fibrillazione atriale Come diagnosticarla? Quando compare questa malattia le persone lamentano palpitazioni, difficoltà respiratoria e stanchezza generalizzata: basta un ECG per evidenziarla, ma spesso i pazienti arrivano dal medico quando la situazione è già presente da tempo. Le caratteristiche della fibrillazione atriale non sono omogenee: si definisce parossistica quando si presenta episodicamente e si risolve spontaneamente, oppure persistente quando scompare solo dopo un intervento medico (cardioversione) e infine può essere permanente se invece non cessa nonostante i tentativi di risoluzione . Quindi, come curarla? Lo scopo è normalizzare il battito cardiaco , dal punto di vista sia del ritmo che della velocità ed evitare le complicanze trombotiche cerebrali. Per normalizzare il ritmo si può attuare una cardioversione farmacologica , ovvero usare dei farmaci detti “antiaritmici”, che dovrebbero regolarizzare la pompa cardiaca. La cardioversione può essere anche elettrica, una vera e propria stimolazione mirata a ripristinare una pulsazione sana . Invece l’ablazione cardiaca rappresenta un trattamento più invasivo, finalizzato allo “spegnimento” del generatore elettrico cardiaco e viene effettuato quando non si riesce in alcun modo a controllare l’attività motoria di questo organo. Fondamentale è in ogni caso l’uso di anticoagulanti, usati per evitare le temute conseguenze trombotiche cerebrali, soprattutto quando la malattia si protrae a lungo e non regredisce. E’ importante sottolineare come ogni volta la terapia venga modificata e personalizzata, in funzione della tipologia di fibrillazione atriale in tutte le sue variabili, l’età del paziente, le malattie concomitanti, lo stato di salute generale.
Rosa, più di 40 anni con disturbi uditivi

La Signora Rosa L. ha 72 anni ma convive da più di quaranta anni con seri disturbi uditivi. Trentacinque anni fa è stata operata di otosclerosi ma dopo la nascita della figlia il suo udito è nuovamente peggiorato e ha dovuto ricorre all’utilizzo degli apparecchi acustici. Per alcuni anni tutto è andato bene, finchè non sono sopraggiunti alcuni episodi dolorosi che hanno contribuito a determinare un ulteriore aggravamento della sua condizione uditiva. La morte della madre, una donna attiva e molto presente nella sua vita, ma soprattutto quella improvvisa del marito, avvenuta qualche mese dopo quella della madre, avevano portato la signora Rosa sull’orlo di un esaurimento nervoso che poi ha avuto riflessi negativi sul suo stato di salute. Il sistema uditivo, già debole, già compromesso dalla malattia, ha subito le inevitabili conseguenze. Dopo quel periodo difficile e tormentato della sua vita, la signora Rosa era profondamente cambiata. Nell’umore, sempre più irascibile, nel rapporto con l’unica figlia, con le amiche di sempre con le quali passava buona parte dei pomeriggi, addirittura con i nipotini ai quali si era dedicata in modo totale e assoluto e che riempivano una buona parte della sua vita. Ma c’era qualcosa che non andava, il suo udito continuava a peggiorare e lei temeva di arrivare al punto di non sentire più niente. In effetti, diversi medici specialisti le avevano confermato che il suo udito avrebbe avuto un graduale e progressivo peggioramento, ma anche rassicurata che con l’ausilio degli apparecchi acustici poteva andare avanti un bel po’ di tempo. Certo la sua situazione era difficile e un giorno, forse, avrebbe dovuto fare ricorso all’impianto cocleare, quantomeno dall’orecchio peggiore. Con il passare degli anni la signora Rosa aveva sviluppato la certezza che un bel giorno il suo udito sarebbe arrivato all’ultimo stadio e che i rimanenti residui non sarebbero stati più sufficienti nemmeno per l’utilizzo degli apparecchi acustici. Lo stato mentale, questa convinzione di rimanere fuori da ogni possibile comunicazione con le altre persone, aveva portato la signora Rosa sull’orlo di una forma di depressione dalla quale non riusciva a venire fuori. Utilizzando gli apparecchi acustici da molti anni la signora Rosa era diventata quasi un’esperta. Ultimamente si era resa conto che gli ultimi apparecchi che le erano stati applicati due anni prima, non le davano più delle prestazioni sufficienti. Tanto più che i fastidiosi acufeni, cioè i famosi ronzii nelle orecchie che si manifestano in svariate forme, come, per esempio, il rumore di una cascata di acqua o il cinguettio degli uccelli, insorti negli ultimi anni, costituivano un elemento di ulteriore disturbo uditivo. Il centro acustico che Rosa frequentava da anni non era stato in grado – secondo lei – di venire a capo della situazione. Fu così che Rosa si consultò con una sua amica – nostra paziente – la quale le consigliò di rivolgersi ad uno dei nostri centri acustici. Così Rosa si decise a fare il nuovo passo e ci telefonò per fissare un appuntamento. Perché Armonia ? – esordii la prima volta che ci vedemmo – con fare veramente incuriosito. Perché – risposi un po’ sorpreso dalla domanda che nessuno in precedenza mi aveva mai fatto – il nostro obiettivo, come specialisti e professionisti dell’udito, è restituire ai pazienti il miglior confort acustico possibile. Dunque creare una armonia di suoni, renderli confortevoli, anche piacevoli in alcuni casi, non troppo forti o acuti, ma il più possibile chiari, puliti, piacevoli, non metallici come lamentano alcuni pazienti, armonici appunto. Avevo scandito bene le parole, pronunciandole abbastanza lentamente. E lei lo aveva notato. Infatti mi disse: “ Ha parlato così lentamente perché ha capito che non sento niente”. In effetti era vero ma non le potevo dire in modo così diretto che mi ero reso conto da subito che il suo stato uditivo era veramente compromesso e che non sarebbe stato facile migliorare quella situazione. Dopo quasi trenta anni di professione so bene che il rapporto emotivo e psicologico con il paziente è determinante per la buona riuscita della applicazione acustica. Questo aspetto della nostra professione viene spesso considerato secondario da molti colleghi, ma è invece risolutivo, indispensabile nella determinazione del rapporto con il paziente. Certo in alcuni casi è faticoso, perché occorre scavare nelle storie e nella vita dei pazienti, aprire delle porte sull’ignoto, percorrere sentieri poco conosciuti, imbattersi in altre porte che non si riescono ad aprire, quelle che la mente umana si rifiuta di aprire. Ma questa ricerca non è mai vana. Porta sempre da qualche parte. Essere un professionista dell’udito così come sono di fatto oggi i Dottori Audioprotesisti, significa molte cose, non solo essere padrone della tecnica. Occorre sensibilità, sincera partecipazione alle vicende dei pazienti, indagine psicologica, comprensione degli stati emotivi, visione complessiva del quadro clinico del paziente in modo da poterlo indirizzare eventualmente a medici specialisti di competenza o anche semplicemente al medico di famiglia. E poi conoscenza dei processi di invecchiamento della persona, dell’impoverimento eventuale delle capacità cognitive, di come e quanto queste dinamiche si intreccino con i disturbi uditivi del paziente. La signora Rosa aspettava che le dicessi qualcosa. Ma non mi dette il tempo. Era un fiume in piena, aveva portato con sé tutta la documentazione della sua lunga storia di paziente debole di udito e voleva che prestassimo, io e la mia collega, attenzione a tutti i passaggi, le tappe, per così dire, della sua odissea. Attesi che finesse di parlare senza interromperla e dovetti attendere a lungo. Perché Rosa descriveva tutto nei minimi dettagli, fatti, sensazioni, sconforto, insofferenza, contrasti con la figlia adorata ma colpevole di non comprendere fino in fondo il suo stato, il malessere generale che non la abbandonava da anni. E poi il nuovo mostro, gli acufeni indomabili che, insieme al peggioramento dell’udito, l’avevano portata sull’orlo dell’abisso. Alla fine della lunga digressione mi chiese: “ cosa devo fare dottore?”. A quel punto le dissi chiaramente che dovevamo azzerare tutto e iniziare un capitolo nuovo. La prima cosa da fare – aggiunsi – è una visita da un audiologo. Deve fare
Fabio, riduzione capacità uditive

Il Signor Fabio V. ha circa cinquanta anni. E’ un manager di una importante multinazionale. E’ stato inviato in uno dei nostri centri da un medico otorinolaringoiatra che da anni lo aveva in cura. Nell’ultimo anno le capacità uditive del Signor F. si erano notevolmente ridotte, costringendolo a una difficile quanto improbabile comprensione delle conversazioni nei luoghi di lavoro in modo particolare nelle riunioni a cui doveva frequentemente partecipare con altri colleghi. Preso atto dall’aggravamento della condizione uditiva del Sig. Fabio il medico specialista lo aveva convinto a ricorrere all’ausilio di dispositivi acustici. Una terapia in grado di migliorare il livello di ascolto e conversazione del paziente. Le resistenze iniziali del Sig. Fabio vennero superate dalle riflessioni che il medico gli aveva proposto, dalla sottolineatura delle tante difficoltà riscontrate nella vita quotidiana, dalla quasi certezza che, nel tempo, nemmeno troppo lontano, il mancato allenamento delle capacità uditive avrebbe comportato un aggravamento della situazione. Prima di arrendersi il Sig. Fabio si difese, rivelò la sua maggiore angoscia: cosa avrebbero detto i colleghi, gli amici, quando avrebbero scoperto che lui indossava due dispositivi acustici? Era certo, lo ripeteva dentro di sé, lo avrebbero compatito, deriso no, ma compatito, considerato, ormai, “un vecchio”, un disabile. Tutte queste cose agitavano il Sig. Fabio mentre si recava in uno dei Centri Acustici Armonia consigliati dal medico specialista. Ricordo bene il Sig. Fabio nella sala d’attesa del nostro centro acustico, seduto accanto a due persone di quasi ottanta anni, imbarazzato, a disagio, nervoso, concentrato sul suo smart phone, quasi come se volesse isolarsi, rendersi, quantomeno, invisibile. Quando arrivò l’ora del suo appuntamento e la mia collega lo chiamò per annunciagli che era arrivato il suo turno, il Sig. Fabio era ancora immerso nei suoi tormenti. Lo facemmo accomodare nella stanza dove vengono eseguiti i vari test audiologici. Ci consegnò la documentazione del medico specialista. Cercai di rompere la tensione del Sig. Fabio rivolgendogli alcune domande sulle sue abitudini, su come e dove passava il tempo libero, sulla famiglia, lo sport, i viaggi. Parlò e parlammo per un bel po’ di tempo. Fabio raccontava e raccontava, rivelando così, senza esserne consapevole, i suoi disagi nelle relazioni, dovuti esclusivamente alle ridotte capacità uditive. La mia collega gli spiegò che dovevamo effettuare dei test di approfondimento, non presenti nella cartella clinica, in quanto non rilevanti dal punto di vista del medico specialista ma assolutamente indispensabili per una corretta impostazione del percorso di riadattamento acustico. Iniziammo i test e Fabio collaborò attivamente, senza esitazioni. Il quadro emerso dai vari test non era certamente dei migliori. Soprattutto perché il grafico della discriminazione delle parole era molto critico. Quella di Fabio è una ipoacusia bilaterale con una evidente caduta sui toni acuti più accentuata sull’orecchio sinistro. Un deficit uditivo dovuto con ogni probabilità alla così detta sindrome di Mèniere, un disturbo dell’orecchio interno che provoca vertigini ( al paziente sembra che l’ambiente circostante ruoti intorno alla sua persona), senso di ovattamento dell’udito, acufeni, cioè ronzii e rumori di diversa natura – dal sibilo del treno al cinguettio degli uccelli – nell’orecchio. Spiegammo a Fabio che il processo di riadattamento acustico sarebbe stato graduale e che sarebbe occorso tempo. Non gli avremmo restituito l’udito di quando i sintomi della malattia non si erano ancora manifestati, ma la sua situazione sarebbe comunque migliorata. Gli chiedemmo – ottenendola – la sua massima collaborazione a dedicare una seduta settimanale di circa un’ora ai test di riadattamento acustico per non meno di due mesi. Perché effettivamente la situazione era tale e così complessa da richiedere al paziente la massima disponibilità. Raggiungere un buon livello di confort acustico partendo dalla condizione uditiva appena descritta, fino a qualche anno fa non sarebbe stato possibile. Oggi ci aiuta la tecnologia dei dispositivi acustici estremamente avanzata e sofisticata ma soprattutto la tecnologia dei sistemi applicativi dedicati alla programmazione degli apparecchi acustici e alla verifica dei risultati ottenuti. E’ bene ricordare che gli investimenti in ricerca e sviluppo del comparto audioprotesico non hanno niente da invidiare a quelli effettuati nei settori industriali più avanzati. I dati forniti al paziente attraverso l’uso dei nuovi sistemi sono oggettivi, documentabili, rappresentati graficamente in modo facilmente comprensibile da pazienti e familiari. Così tutti possono toccare con mano i piccoli passi in avanti fatti seduta dopo seduta. Questo aumenta la fiducia del paziente e la sua consapevolezza di affrontare un percorso di riabilitazione uditiva che richiede tempo. Fabio – due mesi dopo la prima seduta – fu in grado di avvertire chiaramente le differenze tra la sua condizione uditiva del momento e quella precedente. Per arrivare ad apprezzare veramente e concretamente i vantaggi dell’utilizzo degli apparecchi acustici ci aveva messo due o tre settimane. Un tempo ragionevole. Nei primi giorni del percorso di riadattamento gli sembrava che la sua voce fosse quella di un’altra persona, avvertiva un suono metallico delle parole, subiva il fastidio di rumori che gli erano sconosciuti. Nelle conversazioni doveva ancora seguire attentamente gli interlocutori, non poteva distrarsi. Noi, grazie ai risultati dei test, eravamo abbastanza ottimisti. Mancava però la percezione soggettiva del paziente dei progressi che erano stati fatti. Fabio ebbe la piena ed effettiva consapevolezza dei risultati raggiunti dopo due mesi, come detto. Anche grazie alle persone – colleghi di lavoro e amici – che frequentava più spesso. Me ne resi conto perché casualmente incontrai Fabio all’ora di pranzo in un ristorante vicino al nostro centro acustico. Era con dei colleghi di lavoro. Mi presentò spiegando chi ero. Uno dei suoi colleghi mi disse testualmente: “ La devo ringraziare. Perché prima andavo tutti i giorni a pranzo con lui ed era impossibile avere una conversazione normale. Adesso è tutto diverso. Si ride, si scherza….un’altro mondo”. Il collega di Fabio non avrebbe potuto descrivere meglio cosa significa, per una persona con difficoltà uditive ma anche per i familiari e gli amici, ritrovare una qualità di vita e di relazioni dimenticate da tempo. Per noi una soddisfazione indescrivibile.
Alcol e perdita di udito: esiste un legame?

Il consumo eccessivo di alcolici può danneggiare il nostro udito, influenzando la percezione del suono. Il nervo uditivo è responsabile del trasferimento dei suoni dalla coclea dell’orecchio interno al cervello. Quindi, anche se le orecchie potrebbero funzionare correttamente, il cervello potrebbe non essere in grado di elaborare correttamente i suoni. Uno studio condotto su giovani adulti a Londra ha rivelato che il consumo eccessivo di alcol può comportare problemi di comprensione dei suoni a bassa frequenza. Questa condizione è anche nota come “sordità da cocktail”. Anche se l’udito torna subito alla normalità una volta smesso di bere, i ricercatori teorizzano che frequenti episodi di perdita dell’udito indotta dall’alcol possono generare danni permanenti. Quali sono gli effetti che causa l’alcol all’udito? Il consumo eccessivo di alcol crea un’ambiente tossico per il nostro udito. L’orecchio interno, infatti, ospita piccole cellule chiamate ciliate, responsabili della traduzione dei suoni in impulsi elettronici che l’orecchio interno invia al cervello. La tossicità creata nell’orecchio interno dall’alcool distrugge le cellule ciliate ed esse non si rigenerano, creando così un danno permanente per l’udito. Come può l’alcol influenzare la capacità di equilibrio? Quando si esagera con l’alcol, possono verificarsi problemi di equilibrio e successive vertigini. L’alcol viene assorbito nel fluido dell’orecchio interno e rimane lì, anche dopo che non è più presente nel sangue e nel cervello. Poiché l’orecchio interno controlla l’equilibrio, ciò può causare vertigini e disorientamento. Di solito a seguito delle vertigini si avvertono anche continui ronzii e fischi nelle orecchie. L’acufene, infatti, si verifica quando l’alcol provoca un rigonfiamento dei vasi sanguigni con maggiore flusso di sangue all’interno dell’orecchio interno. Anche se tale condizione uditiva non è allarmante, può tuttavia essere davvero fastidiosa e insopportabili. Limitare l’abuso di alcolici è importante anche per la tua salute uditiva e non solo. Prevenire è fondamentale per evitare danni permanenti. Se continui ad avere dubbi sulla tua capacità uditiva ed eventuali disagi legati all’udito, prenota un appuntamento gratuito presso i nostri centri.
Come aiutare chi ha problemi di udito?

Alcuni studi hanno confermato che le donne hanno un udito migliore degli uomini. Infatti la capacità uditiva peggiora di più nel sesso maschile mentre nel sesso femminile resta stabile fino ai 50 anni. Secondo un sondaggio, condotto su 337 pazienti in una clinica in Massachusetts, le donne hanno più probabilità degli uomini di segnalare e spiegare non solo la perdita dell’udito ma anche su come essere aiutati. Come aiutare chi ha problemi di udito? Ecco 6 consigli semplici per aiutare un membro della tua famiglia, collega o amico con perdita di udito: Fare attenzione. Come? Ottenere l’attenzione di un amico o di un membro della famiglia utilizzando il suo nome o toccando la spalla, per poi attendere che si stabilisca un contattato visivo prima di iniziare a parlare. Parlare chiaramente e mantenere il contatto visivo con la persona che ha problemi di udito, perché la lettura del labiale può contribuire alla comprensione. Limitare le distrazioni. Televisioni, aspirapolvere, musica ad alto rumore e altri rumori in grado di coprire quello che si sta dicendo può rendere ancora più difficile per una persona con perdita dell’udito di distinguere la voce dal rumore. Quindi è importante allontanarsi dalle distrazioni forti per poi creare una conversazione chiara. Parlare in modo naturale e tono di voce normale. In tal modo è possibile aiutare le persone con ipoacusia a capire e comprendere quello che si sta dicendo. Avere pazienza. Essere consapevoli del fatto che quando si parla con una persona che indossa una soluzione acustica per la prima volta bisogna essere pazienti e, se è necessario, fare delle pause per poi riprendere la conversazione. Aiutare chi ne ha bisogno è importante per evitare che la situazione peggiori. Infatti, prevenire eventuali problemi uditivi con un controllo dell’udito gratuito è davvero fondamentale, per verificare la capacità uditiva e scoprire la miglior soluzione.
Neurinoma acustico: esiste un legame con l’uso del cellulare?

I cittadini italiani sono 60 milioni. Tra questi 39 milioni hanno più di 15 anni ed il 93%, secondo Eurispes, possiede un cellulare: circa 37.000.000 di persone. Il neurinoma acustico è un raro tumore benigno che colpisce il cervello e che viene talvolta definito anche schwannoma vestibolare. La crescita è molto lenta e avviene nel corso degli anni, ma può arrivare a comprimere il tessuto cerebrale. Secondo report statistici è presente nell’1% della popolazione: 590.000 casi circa in Italia. Più nel dettaglio è il nervo vestibolococleare ad esserne colpito, struttura che contribuisce al controllo dell’udito e dell’equilibrio. È proprio questo nervo parallelo a quello facciale, che porta le informazioni dal cervello ai muscoli del viso. Recenti studi affermano che l’incidenza degli strumenti tecnologici sui pazienti sintomatici, sia in aumento. Il neurinoma acustico viene di solito diagnosticato ai pazienti tra i 30 e i 60 anni ed i sintomi principali sono: La diminuzione dell’udito, La difficoltà di equilibrio. Come diagnosticare il neurinoma acustico? Purtroppo risulta ancora difficile individuare l’insorgere di tale patologia, perché i sintomi possono essere confusi con quelli di altre malattie. La tempestività da parte di uno specialista è importante affinché il tumore non si diffonda. La diagnosi è eseguita in diversi modi: Esame audiometrico; Audiometria vocale; Test neurologico; Risonanza magnetica. Una volta diagnosticata e confermata la presenza del neuroma, bisogna considerare alcuni fattori importanti prima di valutare la terapia da applicare ossia: l’età del paziente, le condizioni generali, dimensione e posizione del neurinoma. Dunque, può l’uso del cellulare essere legato al neurinoma acustico? Il neurinoma acustico è in realtà una patologia del vestibolare, pertanto, prima di affermare che il cellulare può determinare l’insorgere di questa patologia, bisognerebbe dimostrare se tale tecnologia abbia comportato l’aumento di casi di neurinoma acustico. Però, anche se oggi questo dato fosse accertato, si potrebbe anche pensare che con l’avvento della risonanza magnetica sia aumentata la probabilità di formulare una corretta diagnosi.